24 mar 2011

FROMM, FUGA DALLA LIBERTA'

Era ancora il 1941 quando Fromm pubblicò questo libro, negli Stati Uniti, dove si era rifugiato insieme a quel che rimaneva della Scuola di Francoforte. In “Fuga dalla libertà” (Edizioni Comunità 1980), Fromm mette a nudo la comprensione della crisi che aveva portato alla seconda Guerra Mondiale, focalizzandosi su un tema: la libertà come esperienza umana.
Si parte con la comparazione di Hitler e Lutero, entrambi desiderosi di sottomissione e sensibili al richiamo dell’autorità. Sia per Lutero che per Hitler, sottolinea Fromm, la libertà non ha significato e la trascendenza divina è assoluta, rendendo l’uomo un minuscolo punto malvagio e impotente. La convinzione di una corruzione radicale dell’essere umano porta entrambi a ritenere la giustizia completamente estranea al mondo, indebolendo così la fiducia nell’uomo e nei suoi ideali.

da: http://socialismoryourmoneyback.blogspot.com/2009/12/erich-fromm-part-3.html

Ciò che accomuna inoltre Hitler e Lutero è il loro appellarsi a una massa che disprezzano, quella che Fromm chiama “classe media inferiore”, cresciuta come loro in un regime di autoritarismo a rischio di fronte ai grandi cambiamenti della società. Come era successo alla classe media post medievale di essere soppiantata dal nascente capitalismo, i piccoli borghesi di Weimar si ritrovavano spogliati della possibilità di sottomettersi all’autorità della monarchia, caduta con la fine della Grande Guerra, per finire invece in una repubblica dove l’elite era composta di ebrei, socialisti e simpatizzanti bolscevichi o anti-autoritari.
Se nel medioevo però il piccolo bottegaio poteva contare sull’aiuto di tutta la sua categoria, anche se non su grande possibilità di introiti, con la nascita del capitalismo il commerciante si ritrovava più isolato dalla comunità, ma con più chance di arricchimento. Il successo dipendeva ormai solo da lui, come anche il suo fallimento non riguardava più la comunità, mostrando quindi i primi segni di irrilevanza del singolo.
Fromm però non si limita a guardare alla Germania, la cui distruttività aveva assunto i tratti razzisti che Hitler aveva morbosamente mutuato da Darwin. Altro oggetto della ricerca di Fromm è infatti la vita nel mondo del capitale, gli Stati Uniti, dove masochismo e sadismo avevano accondisceso a non mostrarsi l’un altro, rendendo quindi uguali la brama di potere e il desiderio di sottomissione. Il conformismo del singolo in una società di massa capitalistica è per Fromm il tipico esempio di rimozione dell’io originario, in un procedere da automa che a forza di consumismo si ritrova sempre più isolato. Le auto, gli incontri di lavoro, persino radio e cinema portano l’individuo a non riconoscere più un’emozione vera da una indotta dall’educazione, dalla manipolazione della coscienza.

da: http://sms2palace.blogspot.com/2011/03/mans-main-task-in-life-is-to-give-birth.html

In particolare Fromm analizza dei sogni per mostrare come l’erosione della libertà personale sia opera dello stesso individuo che voglia essere accettato dalla società di massa, esautorando così ogni possibile contributo dell’irrazionale nella produzione creativa di relazioni umane. In sostanza, per Fromm si diventa irrazionali non per un obiettivo, ma per fuggire, come nel caso di una persona che assediata da un incendio nel suo palazzo si butti dalla finestra.
L’esempio dell’ipnosi inoltre dimostra come volere, pensare e sentire possano essere influenzati dall’esterno, così che la persona ormai in preda alle fiamme, senza speranza di uscire viva dalle scale, tenderà a buttarsi di sotto, mentre potrebbe aspettare l’aiuto di qualcuno, se solo fosse convinta che questo aiuto verrà. Per Fromm, il pensiero genuino va distinto dallo pseudo pensiero, che si limita soltanto a riportare le opinioni ricavate da una fonte di autorità. Lo stesso dicasi della volontà e del desiderio, sostituiti con dei simulacri come “razza” o “potere”, che portano l’individuo sadomaso ad amare il potente e a odiare l’inerme. Per questo, sottolinea acutamente Fromm, le politiche di appeasement portate avanti nei confronti del nazismo avevano acuito, anziché diminuire, il disprezzo di Hitler verso i cosiddetti stati liberali.
Negli Usa come in Germania o in Italia, secondo Fromm gli individui non sentono la libertà come realizzazione attiva e spontanea dell’io individuale, bensì come simbiosi con qualcosa di esterno, la razza appunto, magari il lavoro, o la patria. L’io però, dice Fromm, è tanto più forte quanto più è attivo, dimostrando così che una società davvero creativa non ha bisogno di fuggire per essere libera. La libertà positiva è infatti la personalità totale che non rinuncia alla spontaneità, lasciando da parte invece lo pseudo desiderio che spinge a voler essere diversi a qualsiasi costo. Proprio questa condizione porta l’essere umano a essere disposto a qualsiasi ideologia, a qualsiasi capo purché prometta azioni ed emozioni forti, perché da solo non riuscirebbe. Di fronte a un io piccolo, la dittatura è grande – spiega Fromm – perché il fascismo indebolisce la vera individualità, la stessa che può procurare crescita e forza ai singoli, invece di spingerli verso una dicotomia tra sadismo e masochismo, odio e amore, amico e nemico, ragione e natura.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Salve! Posso chiedere una informazione sul pensiero di Fromm? Secondo voi Fromm riteneva che la crescita individuale fosse il massimo valore possibile? Secondo voi la crescita dell'individuo poteva essere subordinata a qualcosa per lui? Grazie!

Francesco Conte ha detto...

Ciao Antoine, sono domande molto sensate, a cui però non posso darti una risposta sicura. Fromm è molto critico verso la società di massa e gli stessi Usa, soprattutto per via dell'occultamento dell'inconscio che questa società impone offrendo un "american dream" incondizionato. D'altro canto, se per crescita individuale si intende una crescita a 360°, allora significa che l'uomo non solo fa il compromesso con i suoi simili (pensa a Hobbes) ma non si inchina all'oggettivazione dei rapporti interpersonali tramite la forza lavoro, e il denaro per esempio, la cosa più astratta che ci sia. Io credo che Fromm considera la crescita dell'individuo la conditio sine qua non del valore, quindi non credo che questa crescita sia subordinata ad alcunché. Ma è il termine "crescita" che deve essere preso sul serio. Non il progresso, ma la crescita è ciò che auspica Fromm. Quindi sì, massimo valore possibile, e insubordinato a qualsiasi altra cosa. A patto che questa crescita non vada mai al ribasso, ma affronti invece l'inconscio psichico dell'uomo.

Anonimo ha detto...

Ok, grazie, era quello che mi serviva sapere.